domenica, dicembre 19, 2010

"L'infinito" della traduzione - o la traduzione de "L'infinito"



Si potrebbe pensare che questo post abbia poco a che fare con il "Ponte" (per usare una metafora ricorrente, almeno nello scenario "belorizontino") fra Italia e Brasile, ma non illudetevi. Tutto in realtà comincia dall'influenza inglese, e d'altra parte non vedo come potrebbe essere diversamente. Se l'inglese ormai si insinua nelle vite e nelle case dei più restii alla "dominazione", cosa si potrebbe dire di me, che corro sempre dietro alla lingua di...Shakespeare? Obama? Bill Gates? Zuckerberg? Comunque questa è un'altra storia, per un altro blog.

Ieri mi sono imbattuta in un articolo del New York Times su una nuova traduzione dei Canti di Leopardi in inglese. Essendo Leopardi un'icona della letteratura italiana, ho intrapreso la lettura. Ho così scoperto che si è curato dell'opera Jonathan Galassi, poeta, traduttore e famoso editore negli Stati Uniti. Nell'articolo, il giornalista Peter Campion riporta alcuni brani tradotti e ne sono rimasta davvero colpita, non tanto per la traduzione letterale, che non era l'obiettivo di Galassi, ma per la resa dei suoni, del ritmo, delle rime. Soprattutto se si pensa a due lingue in un certo modo così diverse. "L'infinito", poesia simbolo del romanticismo italiano, purtroppo ha raccolto alcune critiche, ma in genere il lavoro di Galassi sembra addirittura rivoluzionario, secondo le parole di Campion.

La domanda che è sorta mentre leggevo ritagli di Leopardi in inglese, è facile da indovinare: esiste una traduzione così in portoghese? Con Google, non è stato difficile trovare la risposta.

Sembra che uno dei grandi interessati alla divulgazione dell'opera di Leopardi in Brasile sia Marco Lucchesi, un professore dell'USP. Questi ha raccolto in un unico volume, dal titolo Giacomo Leopardi - Poesia e Prosa informazioni biografiche sulla vita di Leopardi, così come diversi saggi internazionali di rilievo e varie traduzioni in portoghese a cura di Ivo Barroso, Haroldo de Campos, Vinícius de Morais, Affonso Félix de Sousa, Alexei Bueno, Álvaro Antunes, Ivan Junqueira e altri ancora.

Com'era previsibile, una delle poesie che ha dato luce a più traduzioni è stato proprio "L'infinito", di cui si considera la versione di Haroldo de Campos come una delle migliori. Interessante notare che, in un articolo di Andréia Guerini, si spiega che il successo della traduzione di Haroldo sia dovuto esattamente a come il traduttore, invece di lasciarsi imprigionare da una traduzione letterale, sia riuscito a mantenere nella sua traduzione il ritmo dell'originale - impresa particolarmente ardua e che mi ha stupita ancor di più nelle versioni in inglese.

Nella mia ricerca, grazie a Google, sono riuscita a leggere la versione di Haroldo de Campos, e ho potuto leggere una copia del monoscritto originale di Leopardi (anche se, essendo stata costretta ad impararla a memoria in prima superiore, riesco ancora a recitarla per intero).

Infine, nella mia mini-ricerca, mi sono imbattutta nella recente tesi di Mestrado di Roberta Belletti, in cui sembra discutere le traduzioni della poesia leopardiana in portoghese, trattandone i temi e i problemi.

Ammetto che sono curiosa di leggere l'opera di Lucchesi, che racchiude così tante informazioni su Leopardi. Tuttavia, mi piacerebbe prima leggere Leopardi in italiano, soprattutto la sua prosa, di cui non ho letto che qualche brano sparso tra medie e superiori. Potrebbe essere un buon proposito per l'anno nuovo :)

sabato, dicembre 18, 2010

La Solitudine dei Numeri Primi

Strano ma vero, ho avuto il piacere di scoprire che non sono l'unica a leggere il mio blog (di solito leggo in cerca di errori). Infatti ultimamente - e con questo intendo gli ultimi 6 mesi - molti - e con questo intendo 2-3 persone - si sono lamentati che sono stanchi di vedere "Andare e Venire" tutte le volte che curiosano nel blog.

Veramente non saprei neanche da dove ricominciare...quindi ritorno a una delle mie "passioni" amatoriali (telenovela a parte): la letteratura e il cinema.

Scrivo di un libro che ho letto esattamente un anno fa: "La solitudine dei numeri primi". È un libro che mio papà ha descritto così: un "bah!" immediatamente seguito da un commento peggiorativo che non riporterò qui. Ricordo che, quando sono arrivata in Italia, nel Settembre 2008, il libro era esposto in centinaia (davvero!) di esemplari in tutte le librerie. Infatti, aveva appena vinto il Premio Strega e il Campiello (i principali premi letterari in Italia). Mi ha logicamente incuriosita, anche se il titolo devo dire che non mi affascinasse poi tanto dato che io e la matematica da un bel pezzo non abbiamo molto da spartire.

Il libro è stato scritto da Paolo Giordano, un dottorando di fisica all'epoca, se non mi sbaglio. La storia però non ha molto a che fare con la matematica, a parte il fatto che uno dei protagonisti ama la fisica ed è affascinato dai numeri primi (sindrome abbastanza comune tra gli studenti di fisica, come ho potuto verificare in seguito con mio fratello).

La storia del libro, di per se, devo ammettere che non mi ha sorpresa. Il libro tratta di vari argomenti, per la maggior parte attuali, con i quali non è difficile riconoscersi o identificarsi in qualche modo. Il tema centrale che mi è rimasto dentro, quando ho chiuso il libro un anno fa, è stata l 'angoscia dell'incomunicabilità. Direi che è un libro paradossalmente fatto di silenzi e di personaggi sempre più chiusi in sé stessi.

Tuttavia, non direi che è stata quest'angoscia a colpirmi. Quello che mi ha affascinata veramente, fin dalle prime pagine, è stato il modo di scrivere che mi ricordava molto, per qualche motivo, la voce fuori campo di film come "Il favoloso destino di Amelie Poulain" o "Match Point". "Il libro è praticamente nato per essere un film", pensavo mentre lo leggevo, e il modo in cui i fatti si susseguono e si intrecciano, i continui flashback e il mistero nel passato che si svela poco a poco durante il libro ne erano la prova.

Adesso ho scoperto che il film è stato fatto ed è stato lanciato a settembre. Ancora non l'ho visto, ne ho visto soltanto il trailer, che, devo ammettere, non mi ha entusiasmata. Sono comunque curiosa di sapere com'è, anche perché dicono che sia stato l'unico film italiano ad avere un certo valore alla mostra del cinema di Venezia. E con questo si potrebbe cominciare un'altra lunga discussione, ma mi interropo qui.

Ecco il trailer: